9 Settembre 1998. In questa data il pianeta perdeva ufficialmente Lucio Battisti, icona del cantautorato Italiano. Eppure, almeno se consideriamo la "vita pubblica", Battisti era già morto da anni. Ultimo concerto nel 1976, ultimo avvistamento in compagnia di membri della stampa nel '78, ultima apparizione a favor di telecamera nel 1982. Sedici anni di vita in "ritiro", si può dire che Battisti sia morto trentacinque anni fa. Eppure, il suo mito continua a crescere, contagiando generazioni di giovani musicisti, ma anche ascoltatori. Chi non ha mai sentito 10 ragazze per me? Chi non ha mai cantato "il canto libero" tra emozione e sentimenti, quasi imbarazzo dinnanzi ad un tale genio artistico. Già, il genio. Questo fattore ha caratterizzato tutta la sua vita e produzione artistica. Spesso, infatti, la parola genio è associata al termine sregolatezza, e sicuramente Lucio si sarebbe riconosciuto in entrambe le espressioni. Vita privata movimentata, accusato spesso (ingiustamente) di avere simpatie fasciste. Falso, assolutamente. Non è un crimine essere di destra, no? Riluttante allo sfavillante e spettacolare carattere che la fama, inevitabilmente, ti da quando sei una leggenda del panorama musicale. Quasi dava l'impressione di sentirsi inadatto, così divinizzato, eppure immensamente umano. Particolare, fino in fondo, riusciva sempre ad eludere schemi e convenzioni. Chiunque può immedesimarsi in Battisti, arrivato ad un certo punto quasi a provare repulsione verso il suo stesso successo, o meglio verso le conseguenze che ne derivavano. Con il suo fare burbero e lo sguardo sempre magnetico, era solito esclamare tranquillamente, rispondendo alle provocazioni dei giornalisti «La TV? È un mostro che divora. Il successo? Il peggiore dei veleni!» Col senno di poi, possiamo dire che Battisti non rispondeva in maniera ipocrita, non cavalcava falsa modestia e non cercava di costruire un personaggio duro e spigoloso. Lo pensava davvero. Il successo è veleno, veleno dal quale ha provato a disintossicarsi, veleno che, alla fine, ha avuto la meglio su di lui. Battisti è stato un caso unico di creatività: prendeva le strofe e ne faceva ciò che voleva, le stravolgeva a piacimento, creava qualcosa di mai visto prima. Senza mai abbandonare il carattere burbero, nemmeno con l'amico Mogol, che spesso finiva a sopportare le smanie del genio, un cervello che lavorava in modo differente. Col senno di poi, entrambi hanno fatto la fortuna dell'altro. Meravigliosa è stata, musicalmente parlando, la sua capacità di reazione. In costante ascesa sull'Olimpo della musica italiana negli anni sessanta e settanta, alla rovinosa caduta, una caduta verticale fino al suolo e sottoterra negli anni ottanta, denaturando completamente se stesso (l'album nemmeno lo cito, non è necessario ne rispettoso verso la leggenda). E poi, rinascita. Che ha un nome e cognome, quello della collaborazione con Pasquale Panella. "Don giovanni", spettacolo, essenza pura di Battisti, dimostrazione che Lucio non era cambiato, era sempre stato lì, era rimasto lo stesso. “In nessun luogo andai/ per niente ti pensai/ e nulla ti mandai/ per mio ricordo/ Sul bordo m’affacciai/ d’abissi belli assai”. In apparenza strofe criptiche, di fatto schegge irregolari di autobiografia. Battisti non ha reiterato che questo: affacciarsi sul bordo di crepacci che per altri erano abissi. E per lui, semplicemente, rampe di lancio appena inconsuete. Il cantante che odiava il successo, ritenendolo velenoso per l'anima. Il cantante che odiava i concerti, purista della pulizia del suono, sporcato dalle masse urlanti. L'uomo che rinnegava la televisione, poiché "io non sono in vendita, non sono merce". Una personalità eccezionale, un uomo oltre una leggenda. Un uomo vero, saldo ai suoi principi, millantato da molti, compreso realmente da pochi e, in fondo, amato da tutti. Buon viaggio nel passato con "Il mio canto libero".