«Ho sempre pensato di essere potente, fin da quando ero bambina.»
Molto spesso da bambini, ma anche da giovani adulti, ci sentiamo chiedere «cosa vuoi essere da grande?», e talvolta non tutti, nemmeno i bambini, riescono a dare una risposta.
Zaha, invece, non era tra queste persone: quando compì dieci anni, decise che voleva diventare un’architetta. Quella bambina crebbe e divenne uno dei più grandi architetti del nostro tempo.
Ma chi era quella bambina tanto determinata? Stiamo parlando di Zaha Hadid, architetta e designer nata a Baghdad ma che ebbe ben pochi contatti col suo paese d’origine: si laureò in matematica a Beirut, per poi trasferirsi a Londra nel 1972 per studiare in una delle più prestigiose scuole di architettura del Regno Unito.
Proprio in Gran Bretagna iniziò a lavorare e poi, nel 1980, aprì un suo studio. L’architetta si stabilì a Londra, ma girava il mondo seguendo i progetti del suo studio. Attualmente le opere che portano la sua firma sono tante e sparse per il globo.
Il suo è uno stile coinvolgente, messo in mostra per la prima volta dalla retrospettiva presentata nel 2003 dal museo Guggenheim di New York, dove furono esposti i lavori che più l’hanno contraddistinta, in particolare nei primi trent’anni della sua carriera. Quella fu un’occasione per osservare l’ampiezza della sua opera.
Molti dei progetti, per lo più fatti su carta, sembravano appartenere a un’idea personale e fantascientifica di futurismo, per lo più fatto di velocità, fluidità e leggerezza. Allo stesso tempo la sua opera dava l’impressione che Hadid facesse parte di quella cerchia di architetti che progetta edifici non per un mondo reale, ma bensì per uno immaginario, utopistico, che solo loro sono in grado di vedere.
Ma al contrario, Zaha si dimostrò presto un’attenta osservatrice delle esigenze dell’età contemporanea indirizzando la propria ricerca verso soluzioni e possibilità architettoniche in grado di rappresentarne la complessità e il dinamismo. La sua è una progettazione che turba la quiete di superfici a riposo con asimmetrie, linee, curve e spirali, i cui risultati sono strutture governate da un ordinato caos, “messo in piedi” grazie a materiali che sembrano provenire dalla più avventurosa fantasia. In qualche modo, Zaha Hadid è riuscita a trovare un modo che le consentisse di rappresentare le sue idee, di tradurre «l’immaginazione in immagine, e l’immagine in architettura».
Ma un’attenzione particolare va data all’eredità lasciata da questa straordinaria architetta, che avrà effetti indiscutibili anche sull’evoluzione della questione femminile in questo ambito disciplinare. Come la stessa Hadid ha affermato: «l’architettura è un mondo particolarmente difficile per le donne e lo è senza un motivo particolare. Con questo non voglio dare la colpa agli uomini o alla società, ma per un tempo molto lungo i clienti sono stati uomini e tutta l’industria delle costruzioni è stata maschile».
Inoltre, Zaha è stata l’archistar per antonomasia, anche per via della sua immagine e del suo carisma, in un gruppo tutto maschile annullando di fatto le differenze di genere. Ma non solo! É stata la prima donna a essere insignita del prestigioso Premio Pritzker.
Insomma, è stata una persona che ha aperto la strada alle donne verso la fama in questa disciplina
Come detto poco fa, le opere della Hadid sono numerosissime e sparse un po’ ovunque, anche in Italia, come il museo
MAXXI di Roma, con il quale vinse il prestigioso Stirling Prize, e la Torre Hadid a Milano, uno dei tre grattacieli previsti nel progetto CityLife:
Zaha Hadid, purtroppo, è scomparsa il 31 marzo 2016, un mese prima dell’inaugurazione della bellissima Stazione marittima di Salerno:
Ora non ci resta che aspettare l’apertura al pubblico di quella che secondo le previsioni sarà la stazione più bella d’Italia: quella della TAV di Afragola, nell’hinterland napoletano, che aprirà a giugno 2017.